La Corte di Giustizia degli Ultimi è una rappresentazione teatrale scritta e diretta da Paolo Bussagli per il Comitato Quote Bianche. Si tratta di un vero e proprio “processo all’Egoismo Sociale” – responsabile dell’emarginazione dei disabili – con tanto di Giudice, avvocati e testimoni.A seguire le testimonianze prodotte durante il processo.
GABRIELE
Da quando sono nato ho un’amante.. anzi, una spasimante.
E’ sempre con me, non mi abbandona mai. Mi segue in ogni momento della mia giornata, come un’ombra. Forse è un po’ più vistosa di un’ombra.
Si chiama Sindrome Spastica. E’ un bel nome, vi pare? Ha un bel suono sibilante. Eppure spesso alle persone non piace. Quando la vedono, molti si girano dall’altra parte. Distolgono lo sguardo, hanno paura di guardare. “Sembra male”. Oppure la fissano, le puntano gli occhi addosso senza riuscire più a staccarli. Fondamentalmente, però, non la vedono. Lei è come un’ombra. Affascinante, indefinita, ignota. Ignota ai più, intendo, io e lei ci conosciamo bene. Ma per il mondo anche noi siamo come le ombre di una lanterna magica: passano per qualche secondo, indistinte, poi la luce gira. Gira lo sguardo delle persone, gira l’attenzione delle istituzioni, dei media, della società. Non so perché non vogliano guardarla: non è affatto brutta. Non è meno intelligente di altri, anzi,la Scienzadice che potrebbe superare la media.
Non è neanche meno simpatica di altri. Non pensa e non desidera nulla di diverso da tutti, solo lo fa in modo diverso. Con più fatica, perché spesso siamo costretti a chiedere l’aiuto di chi non è come noi. Di chi è diverso da noi. O da cui noi siamo diversi, chi può sapere dove sia il confine delle diversità?
Eppure tutti, nella vita, hanno bisogno di aiuto. L’essere umano nasce indifeso, del tutto inabile a fare alcun ché. Ma non c’è egoismo che renda difficile occuparsi di un neonato. Perché l’egoismo colpisce noi più di altri?
La mia amante, signori, non è egoista. Lei è sempre con me, non mi abbandona mai.
(Gabriele è un attore, questo testo è stato scritto ad hoc per la rappresentazione)
AMERIGO
Io non sono nato cieco. Sono nato sordo, con un campo visivo ridotto. Poi ho scoperto di essere malato, avevola Sindromedi Uscher. Il mio campo visivo si andava riducendo. Sono cresciuto, sono andato avanti e sono arrivato all’età di 32 anni. Da lì in poi, il buio totale. Non vedevo più vestiti, colori. Solo ombre, solo il colore del sole.
Tanti come me sono ciechi. Ma è diverso il percorso della malattia: c’è chi diventa cieco a 30 anni, chi a 60, chi a 80. Ma tutti coloro che soffrono della sindrome di Lasher nascono sordi e muoiono sordo ciechi. Io da solo non ho problemi. A casa mi muovo bene. Ma come posso uscire da solo? Come posso prendere un autobus, un taxi, un treno? Sono fortunato: chiamola Legadel Filo d’Oro ed un volontario viene a prendermi a casa mia e mi accompagna. Mi accompagna per uscire, a fare la spesa, a comprare dei vestiti. Anche per fare una passeggiata. Diversamente, quando ho esigenze legali o mediche, viene un interprete che mi accompagna dal medico, in tribunale, da un avvocato, anche per fare altre cose. Ma se i volontari non ci fossero io non saprei cosa fare. E non è facile trovarli. Cosa ne è di tutti i sordo-ciechi che non possono godere dell’aiuto di volontari ed esperti?
PM: i sordo ciechi possono lavorare?
Certo. Io sono stato fortunato. Prima ero solo sordo, ed ero stato assunto dal Ministero della Difesa. Poi sono diventato cieco. E allora il dottore mi disse ‘basta, non sei più abile a lavorare’. Mi è stato detto che potevo solo andare in pensione. L’ho fatto, e sono tutt’ora in pensione. Ma quanti sordo ciechi non lavorano e non hanno mai lavorato? E non possono godere di una pensione? Bisogna pensarci prima che la disabilità diventi un handicap. Bisogna formarli prima, dargli la possibilità prima di poter lavorare per poter poi andare in pensione. Bisogna dar loro la possibilità di avere una tranquillità anche economica, altrimenti non c’è nulla. Noi abbiamo un tatto ed un olfatto molto sviluppati: io, con questi sensi, riconosco tutti.
(Amerigo non è un attore, ciò che racconta è un’esperienza di vita reale)
MARCO
Non ho difficoltà motorie. Ho difficoltà nella comunicazione, nel senso che in certe occasioni, le più difficili, ho bisogno di un interprete. Potrei dare una semplice dimostrazione: io sono sordo, ma posso comunicare in qualsiasi posto, posso comunicare con i miei amici sordi. Ma immaginate che debba andare in ospedale. Sto male, sto malissimo, e devo spiegare ad un dottore che cos’ho. Bene, non c’è l’interprete: muoio.
O arrivo in stazione, dove ho pagato il biglietto per il treno. Il treno potrebbe aver cambiato binario, o essere in ritardo, o essere stato soppresso. Nessuno mi ha avvisato, nonostante io abbia pagato il biglietto.
Oppure immaginate che dovessi prendere un aereo: arrivo in aeroporto e tutti mi chiedono: ma non hai letto il cartellone, sentito la voce, sentito la televisione? Ma cosa vuoi da noi? Sei tu il distratto. Bene, io non posso stare con gli occhi incollati ad un televisore tre ore, due ore, un’ora, quaranta minuti. E’ impossibile. Provate.
(Marco è un attore, ma non in questa rappresentazione: la sua testimonianza, come quella di Amerigo, riflette un’esperienza reale)
MARTINA
Il destino mi ha dato un corpo senza braccia. Nascere così potrebbe sembrare orribile, assurdo, una cosa che ti rende la vita impossibile, indegna di essere vissuta per alcuni. Invece io ho sempre avuto una gran voglia di vivere, anche senza braccia. Non mi servivano le braccia per realizzare i miei sogni.
Amo l’arte. Volevo danzare per librarmi nell’aria come una farfalla. E per volare non mi servivano braccia ma ali. Sì, mi sono fatta spuntare le ali. Così ho imparato a danzare e oggi non posso proprio farne a meno.
La mia vita è su ali e piedi. Sì, perché le ali mi servono per danzare ma i piedi per tutto il resto. Per esempio per dipingere. Sì, ho imparato anche a dipingere. e lo faccio con i piedi. Ma non nel senso che dipingo male, anzi. Modestamente ho donato al papa un suo ritratto. dipinto coi miei piedi.
La mia vita sia una dimostrazione per tutti. La dimostrazione che la vita è sempre degna di essere vissuta e che spesso i limiti non sono reali, i limiti sono solo negli occhi di chi ci guarda. Dobbiamo fermarci in tempo, prima di diventare quello che gli altri si aspettano che siamo. È nostra
responsabilità darci la forma che vogliamo, liberarci di un po’ di scuse e diventare chi vogliamo essere, manipolare la nostra esistenza perché ci assomigli. Non importa se hai le braccia o non le hai, se sei lunghissimo o alto un metro e un tappo, se sei bianco, nero, giallo o verde, se ci vedi o
sei cieco o hai gli occhiali spessi così, se sei fragile o una roccia, se sei biondo o hai i capelli viola o il naso storto, se sei immobilizzato a terra o guardi il mondo dalle profondità più inesplorate del cielo. La diversità è ovunque, è l’unica cosa che ci accomuna tutti. Tutti siamo diversi, e meno male, altrimenti vivremmo in un mondo di formiche.
(Martina è un’attrice, ma questo testo è liberamente ispirato e parzialmente tratto dalle parole di Simona Atzori)